In Evidenza Benjamin NetanyahuDonald TrumpGoverno Meloni
SOSTENIBILITÀGreenInquinamentoPlasticaRicerca scientifica

Gli scienziati hanno scoperto un batterio che si nutre della plastica più inquinante

31 Marzo 2020 - 17:00 Giulia Delogu
Batterio mangia plastica
Batterio mangia plastica
Il microrganismo è stato trovato in una discarica ed è il primo, secondo gli studiosi, ad attaccare il poliuretano, che una volta scomposto rilascia sostanze chimiche tossiche e cancerogene in grado di uccidere la maggior parte dei batteri

Il destino dei rifiuti in plastica, uno dei materiali più utilizzati nella nostra società, e l’uso sostenibile dei polimeri sintetici sono tra le principali sfide del ventunesimo secolo. I tassi di produzione della plastica sono in aumento da decenni e, con circa 3,5 milioni di tonnellate prodotti ogni anno, i poliuretani sono al quinto posto dei polimeri sintetici più richiesti in Europa e vengono utilizzati soprattutto come schiume e materiali isolanti in articoli come scarpe sportive, pannolini e spugne da cucina – tutti prodotti che spesso finiscono in discarica perché troppo difficili da riciclare. 

Le strategie di valorizzazione dei rifiuti possono contribuire alla soluzione di questo problema e, oltre al riciclaggio chimico, anche il degrado biologico rappresenta uno strumento promettente. A tale scopo potrebbe venire in soccorso un batterio capace non solo di rompere la plastica, ma addirittura di utilizzarla come cibo. Il microrganismo è stato trovato in un sito di rifiuti in cui era stata scaricata la plastica ed è il primo, secondo gli scienziati, ad attaccare proprio il poliuretano, che una volta scomposto può rilasciare sostanze chimiche tossiche e cancerogene che ucciderebbero la maggior parte dei batteri. Tranne il ceppo appena scoperto, appunto, che sarebbe invece in grado di sopravvivere.

Anche se lo studio ha identificato il microrganismo e alcune delle sue caratteristiche chiave, resta ancora molto da fare prima che possa essere utilizzato per trattare grandi quantità di rifiuti di plastica. «Queste scoperte rappresentano un passo importante nella possibilità di riutilizzare prodotti in poliuretano difficili da riciclare», ha affermato Hermann Heipieper del Centro Helmholtz per la ricerca ambientale-UFZ di Lipsia (Germania), che fa parte del gruppo di ricerca. 

Secondo lui potrebbero passare dieci anni prima che il batterio possa essere utilizzato su larga scala ed è perciò vitale che, nel frattempo, venga comunque ridotta la produzione e l’utilizzo di plastica difficile da riciclare. Dagli anni ’50 a oggi, infatti, sono state prodotte più di 8 miliardi di tonnellate di plastica, la maggior delle quali oggi giacciono nelle discariche oppure inquinano terre e oceani. Una minaccia di contaminazione quasi permanente dell’ambiente a cui è necessario porre un argine il prima possibile, fanno sapere gli esperti.

Le larve delle tarme della cera, di solito usate come esche per pesci, sono in grado di mangiare sacchi di polietilene

La ricerca, pubblicata sulla rivista Frontiers in Microbiology, ha identificato un nuovo ceppo di batteri Pseudomonas, una famiglia nota per la sua capacità di resistere a condizioni difficili, come alte temperature e ambienti acidi. I ricercatori hanno alimentato i componenti chimici chiave del poliuretano in laboratorio, scoprendo così che i batteri possono utilizzare questi composti come unica fonte di carbonio, azoto ed energia. Prima d’ora erano stato usati i funghi per distruggere il poliuretano, ma i batteri sono molto più facili da sfruttare per uso industriale.

Quella del gruppo di ricerca di Heipieper non è la prima scoperta nell’ambito dello studio dei processi naturali ad aprire le porte a soluzioni di riciclaggio innovative. Già nel 2018 gli scienziati avevano rivelato di aver accidentalmente creato un enzima mutante in grado di rompere le bottiglie di plastica delle bevande – che sono fatte di PET – consentendone potenzialmente il riciclaggio completo per la prima volta, mentre uno studio del 2017 aveva rivelato che le larve delle tarme della cera – generalmente allevate come esche per pesci – sono in grado di mangiare sacchi di polietilene.

Leggi anche:

Articoli di SOSTENIBILITÀ più letti